Salvo Guercio, palermitano, è un esperto conoscitore della televisione. Debutta in Rai nel 1995 dapprima come programmista regista, poi come autore, firmando diversi programmi con Mike Bongiorno, Milly Carlucci, Amanda Lear, Paolo Limiti, Heather Parisi, Mara Venier e Pippo Baudo, con il quale firma anche 5 edizioni consecutive di “Domenica in”. Appassionato di repertorio (ha curato negli ultimi 20 anni i più importanti programmi di questo tipo) attualmente è impegnato nella realizzazione delle serate-evento condotte da Massimo Giletti su Raiuno, e nella preparazione della nuova edizione di “Domenica in” con Pippo Baudo.
Il destino di una vita misurato in pollici
29 dicembre 1968:
“…il suo nome è Donna Rosa, cara, bella…sorridente, deliziosa, e vuole me”.
E’ domenica sera, e mia madre è pronta per entrare in sala parto per darmi alla luce. Sono troppo grosso ormai, e il parto cesareo è programmato per la mattina successiva alle 6 in punto. Mamma è tesa, e cerca di distrarsi con “Settevoci”, una trasmissione musicale in onda sul Primo Canale con quel giovane presentatore alto di un paese vicino Catania che le piace più di Mike, e più di Corrado. La voce del presentatore alto che piace tanto a mia mamma sarà l’ultima cosa che ascolterò nella sua pancia prima di nascere. E sarà fatale.
11 dicembre 1971:
Ho tre anni. Il mio primo ricordo, distinto e vivo, insieme alla mia prima bicicletta con le rotelle e al primo mangiadischi, è la sigla di un programma televisivo che si chiama “Canzonissima”, una gara tra cantanti che nell’ingenuità della mia infanzia mi pare subito straordinariamente interessante. Il motivetto della sigla ripete ossessivamente “Chissà se va, chissà se va, chissà se va…”, e a cantarlo è una signorina bionda con i capelli a caschetto e la coscia forte, gli occhi grandi e rassicuranti e due labbra carnose come non le avevo mai viste. Mi innamoro subito di lei, al punto da costringere la mia bambinaia (tutti noi bimbi agiati della Palermo bene avevamo una bambinaia prima ancora di avere una mamma) ad accompagnarmi alla Standa sotto casa per comprare il suo 45 giri, insieme a “Mamy blue” dei Pop Tops. La commessa mi guarda con aria complice e furba mentre incarta il disco facendomi l’occhietto: “ti piace Raffaella, eh?…”.
28 Ottobre 1973:
Con la mia famiglia ci siamo trasferiti in una bella villa a Mondello costruita da mio papà. C’è appena stata una violentissima mareggiata che ha quasi distrutto il porto di Palermo, e il mare ha invaso le strade del minuscolo borgo marinaro, trasformandolo in una sorta di piccola Venezia mediterranea. La domenica non si può prendere la macchina, non capisco perché, e siamo costretti a rimanere a casa. Io sono felicissimo perché possiamo ricevere le visite di amici e parenti, ma soprattutto perché in televisione c’è un’altra signorina che mi piace, stavolta bruna e un po’ più spigolosa di quell’altra. Anche lei fa “Canzonissima” come quell’altra, e anche stavolta il mio innamoramento è fulmineo (ho già tradito alla velocità della luce la bionda col caschetto, anche se in mezzo ce n’è stata una terza, una certa Loretta, che mi ha fatto battere il cuore per qualche mese). In tutto questo tourbillon di repentine passioni arrivo persino a baciare il teleschermo quando compare il primo piano della ragazza bruna, che il presentatore chiama Mita: ma la cosa più inquietante è che il presentatore ha la stessa voce che udivo nella pancia di mia madre qualche anno prima, con quella vaga inflessione catanese!
23 agosto 1975:
Un anno terribile. I miei compagni di giochi catodici delle domeniche pomeriggio e dei sabato sera non si accontentano più di presentarsi attraverso lo schermo vitreo del televisore, ma minacciano di palesarsi in tutta la loro fisicità, con un corpo e un’anima. E non so se è un bene. Succede che la signorina bionda di cui mi ero innamorato qualche anno prima, Raffaella, adesso campeggia su tutti i muri della mia città, con l’annuncio di una sua epifania canora al “Teatro di Verdura” fissata per il 29 agosto. Ma stiamo scherzando? Questi mi vogliono convincere che la signorina Raffaella non sia un feticcio a ventun pollici creato ad hoc per deliziare i miei siculi pomeriggi, ma una donna in carne ed ossa? Non mangio e non dormo. Il mio primo amore sta per materializzarsi di fronte a me, canterà per me, ballerà per me… Anzi, forse è venuta a Palermo proprio per incontrare me. Non mi pare possibile.
La sera dello spettacolo non devo neanche schiacciare un bottone. Alle 22 in punto la mia Raffaella compare sul palco. Con una tuta di lurex aderente a zampa di elefante, e un parruccone di capelli ricci biondi. Sono deluso perché non indossa il caschetto con il quale l’ho sempre amata, ma tra me e lei non c’è nessun vetro a dividerci. Dunque è viva! Scopro che le figurine dall’altra parte dello schermo televisivo, le stesse che ci affascinano, ci ingannano, ci intrattengono e ci fanno innamorare, sono vive. E non so se è un bene…
18 agosto 1977:
Sono cresciuto, e ho sviluppato anche un certo spirito critico che mi ha fatto prendere le distanze da quell’elettrodomestico che tanto mi influenzava qualche anno prima. Ho quasi nove anni, caspita! Ora gioco a calcio, nuoto, gareggio in bici con i bambini delle ville vicine e dipingo. Sono un po’ pentito per avere tanto cincischiato con quei divi della televisione così pericolosi, così illusoriamente partecipi della mia tranquilla esistenza borghese: ora mi sento più autonomo, più equilibrato, respiro aria di libertà e di pomeriggi assolati sul lungomare. Fino al giorno in cui vedo lei.
Sto giocando ai piedi di mio zio Cosimo con un modellino Burago di una 128 Sport quando improvvisamente la vedo. Anzi, prima la sento. E la sua voce proviene dalla televisione accesa. Ancora! Ancora una volta quella dannata scatola incantatrice cerca di attirarmi a sè con il suo canto di sirena… Oddio, più che un canto di sirena è il richiamo di un baritono. Infatti la voce che mi attrae è sì quella di una donna, ma grave e bassa come quella di un baritono. Lei è stupenda, ha i capelli biondi, le gambe lunghissime e gli occhi a mandorla. Pare orientale, ma parla inglese con accento francese. E ha qualcosa di irresistibilmente ambiguo, come se in lei fossero fuse in un archetipo primordiale tutte le sfumature dell’umana sessualità. Mio zio Cosimo è sconcertato, io sono sopraffatto. E nuovamente innamorato.
La creatura finisce di cantare, il pubblico nel teleschermo applaude, una signora di mezza età seduta in prima fila sembra disorientata ancor più di mio zio Cosimo, finchè dalle quinte non esce il presentatore. Ma è lo stesso che cantava “Donna Rosa” mentre stavo nella pancia di mamma! Quello alto, di Catania! I due si incontrano. Lei gravemente lo chiama Pippo. Lui soavemente la chiama Amanda. Mai gerundio fu più dolce. E fatale.
28 luglio 1978:
Una data importante, che ricorderò sempre. C’è un night nei pressi di Palermo, a San Nicola l’Arena per l’esattezza, che ogni venerdi ospita uno show con vedettes internazionali. Si chiama “Il Castello” ed è un piccolo locale in riva al mare circondato da palmizi e gelsomini. Nonostante io abbia solo 10 anni, i miei genitori non si oppongono alle mie insistenti richieste di potere assistere a queste serate, consapevoli anch’essi, poverini, di quanto ormai io sia irrimediabilmente corrotto della televisione. Peraltro mi sono dato da fare e ho già fatto proseliti, raccogliendo un piccolo gruppo di accoliti tra i miei amichetti, con mia cugina Valentina in testa, pronti a tutto pur di assistere a questa rassegna di eventi estivi. Manco a dirlo, il primo show al quale prendiamo parte è quello di Amanda. Che si presenta sul palco la notte del 28 luglio con tre ore di ritardo e una frusta in mano, quasi a voler domare la folla inferocita per l’estenuante attesa. È stupita di trovare tanti bambini nelle prime file, e lo dice pure. Lo show è una rivelazione, poiché riproduce dal vivo senza la freddezza del piccolo schermo quanto da me ammirato con stupore negli show televisivi di Enzo Trapani, il mio regista preferito. Amo Enzo Trapani, poiché al rigore formale del suo collega Antonello Falqui, perfetto e senza sbavature, aggiunge la voglia di sperimentare e di trasgredire, sporcando tutto con una vena di follia che spariglia lo spettacolo. Nei venerdi successivi io e i miei amichetti, sempre accompagnati da quel sant’uomo di mio padre, assistiamo agli show di Mia Martini, di Stefania Rotolo, di Califano, di Asha Puthli e persino di Grace Jones, pazza e sboccata, che ad un certo punto dello spettacolo si arrampica su un traliccio delle luci praticamente nuda con un disco appiccicato in testa. È evidente che il mio destino è segnato. La televisione mi ha ormai definitivamente conquistato con i suoi divi portandomeli direttamente a casa, un po’ come era successo qualche anno prima al Teatro di Verdura. E il punto di non ritorno lo raggiungo quando in autunno arriva in televisione il programma “Stryx”. È uno show senza né capo né coda ma straordinariamente innovativo per quanto riguarda le “mise-en-scène” di Trapani. Discomusic, fumi, luci stroboscopiche e tutte le mie dive generosamente svestite, ognuna nei panni di una strega, con tanto di nome declinato in latino medievale. Tra le ninfette seminude che fanno da contorno ad Amanda, Patty e Grace ci sono anche Barbara D’Urso, bellissima e con un corpo perfetto, e Paola Ferrari, entrambe al loro esordio. “Stryx” mi conquista a tal punto che decido di compiere l’ardito passo, e provare a realizzare io stesso un piccolo show casalingo.
25 maggio 1979:
L’occasione mi viene offerta da mia cugina Valentina, la musa del nostro gruppetto di appassionati del varietà, la piu sfrontata, la più talentuosa. Ha appena undici anni ma è straordinariamente compresa nel suo ruolo di emula di Donna Summer e Tina Turner, dato che balla benissimo e conosce a memoria tutte le loro canzoni. Per il saggio di fine anno del 1979 alla scuola Santa Lucia mi improvviso un po’ Trapani e un po’ Pippo, montando un numero mutuato da “Stryx” in cui Amanda canta una canzone che si chiama “Gold”. Valentina sarà Amanda, e nel ruolo delle coriste/ballerine le affianco due sventurate compagne reclutate in fretta e furia tra le meno imbranate della sua classe. Il suo costume, uguale a quello di Amanda nello show del “Castello”, viene cucito ad hoc dalle mie due zie zitelle Maria ed Enza, sorelle di mio padre, che riproducono alla perfezione la tutina dorata di lurex indossata da Amanda nello show. Incuranti dello scandalo che io, regista/presentatore di 10 anni e lei, diva sfontata della discomusic di appena 11 anni, avremmo suscitato in una scuola di suore frequentata dalle bambine più borghesi di Palermo, ci lanciamo nell’impresa. Introdotta da me, paludato per l’occasione con un ridicolo mantello, Valentina sale sul palco per il saggio di fine anno con la frusta e le sue due coriste improvvisate, riproponendo il numero amandiano davanti ad un pubblico di mamme, papà e suore. Che seguono l’esibizione tutt’altro che sbigottite. A riprova del fatto che noi siciliani siamo pazzi, il numero ottiene un successo strepitoso, con le suore che si precipitano intorno alla piccola diva per congratularsi con lei, inconsapevoli del fatto che la canzone parli di una poco di buono che vende l’anima al diavolo per diventare ricca e famosa, e che Valentina indossi una tutina di lurex con una frusta in mano.
Io sono un pó stupito di tanta insperata accoglienza, ma non mi faccio tante domande e sono tutto contento, perché ho solo 10 anni e ho appena curato la mia prima regia.
10 settembre 2016:
Sono passati 37 anni. Gli ultimi venti li ho trascorsi lavorando come autore televisivo. E oggi, piuttosto che annoiarvi con le mie opinioni (banali) su cosa penso della televisione, sulle mie preferenze (banali) circa questo o quel programma, sulle mie considerazioni (banalissime) circa la mia professione, ho preferito raccontarvi una piccola storia. Una storia (e ci tengo a sottolinearlo) assolutamente vera per quanto paradossale e assurda, proprio perché aveva già in sé, in nuce, tutti gli elementi che avrebbero composto i tasselli della mia futura attività lavorativa. James Hillman, filosofo e scrittore che amo molto, nel suo “Codice dell’anima” ha elaborato la teoria della ghianda, secondo cui ciascuno di noi nasce con un’immagine innata, un “daimon”, una vocazione, una natura che suo malgrado lo condizionerà e lo porterà a percorrere la strada del proprio destino anche attraverso spericolate coincidenze. I 2 protagonisti principali della storia che vi ho raccontato, la storia della mia infanzia, sono anche i protagonisti dei 2 momenti della mia carriera da “adulto” ai quali sono maggiormente legato. Per questo il “daimon” riconcilia passato, presente e futuro in un unico sogno che è la vita. Con Amanda ho realizzato nel 2001 “Cocktail d’amore”, programma che ho concepito e scritto per celebrare (e al contempo distruggere in una sorta di catartico faló finale) tutti i feticci e i giocattoli della mia precoce iniziazione televisiva. Amanda è stata la mia musa e la mia compagna di giochi, sul lavoro ci siamo amati e abbiamo litigato come Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, ma il nostro ventennale legame è cominciato molto prima di “Cocktail d’amore”, come ormai è chiaro, e dunque non finirà mai. Con Pippo ho fatto 5 edizioni consecutive di “Domenica in”, scampoli di un pomeriggio domenicale che non esiste più, in cui Baglioni e Benigni potevano tranquillamente duettare insieme con picchi del 32% di share, mentre Fiorello aspettava di fare il suo ingresso trionfale negli studi della Dear sotto la pioggia, con un ombrello tricolore, e Russel Crowe frequentava nervosamente la toilette per smaltire i suoi bicchierini di troppo. Con Pippo ho vissuto momenti professionali che sentirei di augurare a tutti i miei colleghi, soprattutto a quelli più giovani. Mi ha insegnato tanto, e guai a chi me lo tocca. Ah dimenticavo, il mio “servizio militare”, la mia gavetta, l’ho fatta 20 anni fa con Paolo Limiti, autore brillante e curioso, che mi ha insegnato i trucchi del mestiere e la magia del racconto, quando quella cretina di Floradora, la cagnetta di peluche, non si metteva di mezzo…
Forse questa mia professione, questo mio “daimon” riconosciuto e assecondato non sarà la mia vocazione finale, quella più autentica e personale, che identifico piuttosto nella pittura. Per fare bene la televisione è necessario che una squadra di autori, registi, tecnici, scenografi, costumisti, lavorino in perfetta sinergia per garantire un risultato ottimale. Basta che uno solo di questi ingranaggi si inceppi per pregiudicare il risultato finale. La pittura, contrariamente alla televisione, ti offre invece la possibilità di dare una forma materiale alle tue visioni, ai tuoi sogni, alle tue angosce, senza mediazione alcuna, e in totale solitudine. Di fronte alla tela bianca ci sei soltanto tu, con i tuoi vuoti, con i tuoi pieni, con il tuo mondo interiore, ricco o povero che sia. Ma questa è un’altra storia, per adesso gran parte della mia vita è dedicata alla televisione, che cerco di fare sempre con passione, determinazione e amore. Lo stesso amore che nella pancia di mia madre aveva la leggerezza di un verso, come una eco lontana: “…il suo nome è Donna Rosa, cara, bella…sorridente e deliziosa, e vuole me”.
Salvo Guercio
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Ringrazimenti
Con Salvo Guercio si conclude la seconda cavalcata di “Fuori gli Autori” che ci ha tenuto compagnia per tutta l’estate 2016. Desidero ringraziare di cuore tutti gli autori che hanno accettato il nostro invito ed un particolare ringraziamento anche ad Arianna Tronco della Società per Autori per la collaborazione. Un arrivederci alla prossima edizione, perchè come dice un vecchio adagio “Non c’è due senza tre!“.