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Rimbocchiamoci le maniche, Stefano Reali a Blogo: “Soddisfatto degli ascolti, abbiamo creato un format”

Blogo ha intervistato Stefano Reali, regista e sceneggiatore di Rimbocchiamoci le maniche, per parlare dei risultati della fiction, della sua realizzazione e del suo rapporto con Sabrina Ferilli

pubblicato 26 Ottobre 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 18:18

Va in onda questa sera, alle 21:10 su Canale 5, l’ultima puntata di Rimbocchiamoci le maniche, la prima novità di questa stagione di Mediaset che ha riportato alla fiction Sabrina Ferilli, qui nei panni di Angela, operaia che, pur di salvare la propria fabbrica, si candida a sindaco della propria cittadina, vincendo e ritrovandosi a dover affrontare problemi legati alla comunità.

Questa fiction ha anche riunito la Ferilli con Stefano Reali, regista che l’attrice conosce molto bene, dal momento che in passato i due hanno già lavorato insieme, ad esempio ne Le ali della vita, che ottenne anche un sequel. Una collaborazione che li ha visti ancora al lavoro su una storia di passioni e sentimenti, che ha trovato un buon riscontro di pubblico e che stasera, come detto, si avvia alla conclusione della sua prima stagione.

Blogo ha contattato proprio Reali, per parlare con lui di questo progetto, abbastanza insolito per Canale 5, di come è stato realizzato e della sua collaborazione con la Ferilli. Ma non solo: il regista nonchè sceneggiatore ci ha anche raccontato come mai abbia deciso di comporre anche la colonna sonora della fiction, e ci ha anticipato di essere già al lavoro su un altro progetto.

Partiamo da buoni dati di ascolti che ha ottenuto Rimbocchiamoci le maniche, intorno ai 3 milioni di telespettatori, in media con le altre fiction di Canale 5. Siete soddisfatti di questi numeri?

“Onestamente sì. Io personalmente sotto sotto speravo in qualcosa di più, come numeri. Ma la controprogrammazione è stata ferocissima, e la serie non è andata in onda in serate ‘protette’, come si dice in gergo.”

A parte l’auditel, che riscontro avete ottenuto dal pubblico?

“Ottimo. Un tale peana di commenti positivi, che ci autorizza a dire che la serie, anche nei suoi contenuti civici, è piaciuta trasversalmente un po’ a tutti. Bisogna anche ricordare che il tipo di programmazione offerto in questo momento da Canale 5 va su binari piuttosto distanti da quello che era il nostro tracciato narrativo. Insomma abbiamo creato un ‘format’, a mio avviso, che aveva bisogno, come tutte le novità, di un tempo di fidelizzazione adeguato”.

Questa sera va in onda l’ultima puntata. Cosa può anticiparci del finale e dello scontro che vedrà opposti Angela e le sue colleghe contro Pacetti (Andrea Giordana) e Delfino (Alberto Molinari)?

“Il conflitto di questa serie non vuole essere tra Bene e Male, ma piuttosto tra Integrità e Svendita di sè stessi. È molto difficile rimanere integri in un sistema sociale che lo scoraggia sistematicamente, con le ‘ritorsioni’ che tutti conosciamo. In questa serie, Angela non lotta tanto contro il cattivo Delfino e il suo sodale Pacetti, ma contro il potere di questi due di poter ‘comprare’ alcuni alleati di Angela, approfittando delle loro situazioni di grande sofferenza privata. Il problema è che rimanere integri e onesti costa caro, quando hai dei problemi economici forti che possono essere risolti di colpo dall’offerta di un Cattivo… è su questo che è stata progettata tutta la linea narrativa della serie”.

In un’intervista alla Ferilli di Giulio Pasqui per TvBlog l’attrice, che ha avuto l’idea di questa serie, ha raccontato di essere subito venuta da lei per chiederle la disponibilità a lavorare alla fiction, certa che avrebbe avuto il coraggio necessario ad affrontare una sfida del genere. Ricorda quando è stato contattato per la prima volta, e cosa ha pensato dell’idea?

“Sì. Ho pensato subito che era una scommessa interessante, perché ci avrebbe permesso di ripartire da alcuni schemi narrativi ‘corali’ che furono la gloria del cinema italiano anni cinquanta/sessanta. Penso ai film di Luigi Zampa, in particolare, che ne fece un suo riconoscibilissimo tratto linguistico acre, drammatico, ma con gustosi momenti di commedia. Abbiamo cercato di rifarci a quel mondo, e a quell’epoca, anche nelle scenografie e nei costumi, e addirittura nello stile di ripresa, evitando carrellate e steadicam furibonde. Volevamo restituire un certo gusto ‘retrò’, quasi come se fosse un film in costume, per provare a ricreare il calore di quelle comunità di allora, in un mondo dove non c’erano Whatsapp e Facebook… e poi mi è piaciuta la possibilità di verificare che, nel momento in cui ti trovi a ricoprire una carica pubblica, ti accorgi che devi difenderti molto di più dal fuoco ‘amico’ che da quello ‘nemico’…”

Rimbocchiamoci le maniche potrebbe essere criticato per aver semplificato troppo le dinamiche politiche all’interno di un’Amministrazione comunale: per intenderci, Angela trova il problema e lo risolve nel giro di pochi giorni, cosa abbastanza difficile -anche solo per le tempistiche- nella realtà. Come risponde a queste osservazioni?

“Un racconto popolare, che articola una storia in novanta minuti, deve necessariamente fare delle crasi, delle sintesi. Se riesce a restituire il senso della difficoltà dell’obbiettivo che ci si prefigge, va già bene. Anche per questo abbiamo scelto di ambientare la storia in una piccola comunità, dove ci si conosce tutti… perché avrebbe reso più credibile la rapidità di risoluzione di alcuni problemi. Non tutti, però. Alcuni rimangono. Per esempio, i cattivi la fanno franca. Magari perdono contro Angela, ma rimangono sostanzialmente impuniti. Che è esattamente quello che accade, spesso, nella realtà.”

La lavorazione alla fiction è durata quattro anni, e si può dire che avete in parte previsto quanto poi accaduto con l’arrivo nei Comuni italiani di sindaci legati a liste civiche. Secondo lei, questa tendenza è destinata ad aumentare?

“La lavorazione in realtà è durata un anno. È la scrittura che è durata quattro anni. Quando abbiamo cominciato a scrivere, non avevamo alcun sentore di quello che sarebbe successo con le liste civiche e i pentastellati in particolare. Abbiamo semplicemente pensato cosa sarebbe accaduto se un non-politico si fosse trovato ad amministrare una città. Non so se la tendenza è destinata ad aumentare. Il problema vero è che se uno sceglie di fare il sindaco onesto, è molto probabile che tutte le rinunce personali a cui sarà costretto non saranno ripagate adeguatamente. Né dalla stima del gruppo, né tantomeno dal punto di vista dei vantaggi personali. Si troverà a dover sacrificare parecchio, e in cambio riceverà un bel po’ di pallottole addosso. Alcune anche da amici e parenti…”

Rimbocchiamoci le manicheRimbocchiamoci le maniche non fa riferimenti ai partiti reali, ma nel primo episodio (foto in alto) Angela indica la locandina elettorale di Delfino: il nome del partito (il PdI) ed il suo logo, però, sembrano ricordare vagamente quelli del Pd. E’ solo un caso o avete cercato questo riferimento?

“È solo un caso, figuriamoci. Il fatto è che ormai le sigle dei partiti ‘nazionali’ si somigliano tutte, a partire dai colori della bandiera italiana.”

Cosa si porta dietro da questa esperienza sul set?

“Era la prima volta che mi dedicavo ad una serie lunga. Avevo sempre e solo fatto al massimo due puntate. Fortunatamente mi sono trovato però molto bene sia con la produzione Endemol, che mi ha assicurato tutto il fabbisogno necessario, e soprattutto con il cast. Sabrina è un discorso a parte, la conosco da venticinque anni. Era una ragazzina, quando fece il suo primo ruolo con me, nello sceneggiato di Raiuno sulla storia dei Fratelli Abbagnale. Ci siamo sempre intesi al volo, io e lei, e siamo anche sempre stati piuttosto fortunati nei risultati dei film che abbiamo fatto insieme”.

Lei ha curato, oltre alla regia ed al soggetto, anche la colonna sonora, come spesso fa con le sue produzioni: cosa la porta a ricoprire più ruoli?

“Il controllo del progetto. Certo servono delle competenze specifiche, per potersi occupare di più rami. Ci sono miei colleghi che oltre a dirigere un set, fanno gli operatori di macchina, e si dirigono la fotografia. Altri che fanno scenografia e costumi, oltre che la regia dei loro film. Io molto spesso, ma non sempre, faccio anche il cosceneggiatore dei miei film. E da qualche tempo anche la colonna sonora. È stato Ennio Morricone, con cui ho fatto cinque film, ad incoraggiarmi e a ‘benedirmi’. D’altronde da ragazzo ero entrato nel mondo del lavoro come compositore e pianista, dopo un diploma in conservatorio, quindi la musica ha sempre fatto parte della mia vita. Dopo, solo dopo, frequentando il Centro Sperimentale ho studiato Sceneggiatura, e successivamente mi sono formato avendo la fortuna di poter assistere al lavoro di alcuni grandi sceneggiatori come Scarpelli, Vincenzoni, Benvenuti e De Bernardi, Sergio Donati, Franco Giraldi. Poi ho imparato moltissimo da Gigi Proietti, con il quale ho collaborato a lungo nel suo Laboratorio. Tutte personalità polivalenti, abili in più campi, nella scrittura, nel disegno, nella musica, nella messa in scena. Evidentemente, l’imprinting di questi personaggi è stato decisivo, per me…”

Uno dei suoi successi maggiori è stato Le ali della vita, dove ha lavorato con la Ferilli e Virna Lisi, e di cui è stato realizzato un sequel. In passato vi è mai stato chiesto di lavorare ad un terzo episodio, ed accetterebbe?

“Ci fu chiesto dal pubblico, in realtà, visto che anche la seconda serie, dopo l’esito trionfale della prima, arrivò a toccare medie altissime di spettatori. Ma era un tipo di produzioni che oggi, con le tempistiche e i budget attuali, sarebbe impensabile. E poi, la cara Virna non è più tra noi. Quindi la terza parte di quel fantastico duello tra donne così diverse, non si potrebbe più fare, in ogni caso…”

Sta lavorando ad altre fiction per la tv?

“Ho una proposta. Ma è presto per parlarne, al momento. Anche per motivi scaramantici…”