Il medio dei media
Una riflessione sullo stato dell’arte nell’informazione, televisiva e non. A suon di dito medio alzato
Alzare il dito medio è un gesto trasversalmente riconosciuto nel suo significato figurato. E, perlomeno nella cultura occidentale, è diventato talmente riconoscibile e codificato da sfidare l’indeterminatezza semantica del linguaggio. Il dito medio lo possiamo considerare un figurato metonimico con funzione metaforica. Alzare il dito medio significa dire al proprio interlocutore, con un gesto: «Infilati questo nello sfintere anale». Oppure, se vogliamo ampliare, visto che il dito medio è metafora del membro maschile: «Mi auguro caldamente che tu possa subire un rapporto anale non consenziente». Poco importa, dunque, se la pratica abbia anche connotati erotico-sessuali che, per molti, possano essere piacevoli. L’invito è iconicamente connotato e diventa, per esteso: «Devi soffrire. Se possibile, anche con enorme umiliazione e degrado». Su questo penso si possa essere tutti d’accordo. È un punto di partenza molto vicino all’essere condiviso. E non è mica poco, di questi tempi in cui persino la realtà fenomenica rischia di vedersi negata. Senza contare che la cinematografia occidentale ci aiuta nell’universalizzazione, perché avrà senz’altro contribuito all’esportazione e diffusione mondiale del gesto (ah, gli inglesi, che sono strani, lo fanno spesso con il dito medio e il dito indice uniti. Una variante, più macchinosa e a mio modesto modo di vedere meno iconica, se non altro nel nuovo millennio, è il gesto dell’ombrello).
Una carrellata di “dito medio”
C’è un dito medio davanti a Piazza Affari: è la scultura di Cattelan. Il dito medio divenne cavallo di battaglia di Umberto Bossi, sul quale si potrebbe scrivere un intero trattato, anche alla luce della deriva della Lega Nord, che ha di fatto sconfessato le sue stesse origini, incluse quelle tendenze a parole extraparlamentari e antiitaliane e da dito medio. C’è quello di Piero Fassino rivolto ai tifosi del Torino Calcio. C’è il dito medio di Morgan a Fedez a X Factor, che è solo una replica del dito medio di Morgan a Facchinetti, sempre a X Factor ma sulla Rai.
C’è il dito medio di Galileo, cantato da Caparezza e fisicamente prelevato dalle spoglie dello scienziato quando la sua salma venne trasferita nel sepolcro monumentale di Santa Croce nel 1737 e conservato all’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze (n. inventario 2432): non è una bufala, c’è un’approfondita storiografia in merito. C’è il dito medio di Daniela Santanché a Luciana Littizzetto. C’è il dito medio della, cito testualmente,
«showgirl Melita Toniolo, con il volto arrabbiato mentre mostra la mano con il dito medio alzato, accompagnato dalla scritta “A chi non ci ama. Buon San Valentino”»,
in una pubblicità di gioielli. Il virgolettato è tratto da un’ingiunzione che rilevò una
«sfacciata volgarità» che «non può considerarsi accettabile in una comunicazione al grande pubblico quale quella pubblicitaria».
C’è il dito medio di Vasco Rossi che se la prende con la stampa dopo essere caduto sul palco (e non dal palco, come scrissero alcuni), quello di Berlusconi mentre racconta una barzelletta, quello di Gasparri a Fini.
La carrellata, fin qui, è tutta italiana, perché sembra proprio che a noi italiani quel gesto piaccia tanto.
Ma, pensate, c’era anche su Skype. Era una delle emoticon nascoste, si faceva scrivendo in chat (finger). È stata rimossa nel 2014, perché poteva essere ritenuta offensiva da alcuni. Amen.
In effetti, il gesto avrebbe origini antichissime. Conosciuto e praticato anche dagli antichi greci. Nella Vita dei filosofi, di Diogene Laertio, si legge che il filosofo Diogene avrebbe risposto, a chi gli chiedeva dove si potesse trovare Demostene, alzando il dito medio e dicendo: «Ecco a voi il demagogo degli ateniesi».
E se lo facevano nella culla della civiltà occidentale, il gesto, possiamo stare tranquilli.
Persino la BBC ha offerto online un’ampia dissertazione per rispondere alla domanda «Quand’è diventato offensivo, il dito medio?»
Nel brano, si cita l’antropologo Desmond Morris che spiega:
«È uno dei più antichi gesti d’insulto conosciuti. Il dito medio è il pene e le dita piegate sui due lati sono i testicolo. Facendolo, si sta offrendo a qualcuno un gesto fallico. Si sta dicendo, “questo è un fallo” che si sta offrendo alle persone»
Il pezzo veniva pubblicato dal magazine della BBC dopo che M.I.A. aveva mostrato il medio al pubblico al Super Bowl (nell’immagine). E in effetti, to give the finger (o to flip the bird) funziona molto anche all’estero. Da Mickey Rourke a Maradona, dalle Femen ai manifestanti palestinesi, fino ad arrivare al rock, al pop e a Hollywood.
E il pop, come fa di consueto, depotenzia il gesto trasformandolo in sconveniente da sovversivo, facendolo diventare sì volgare ma tutto sommato tollerabile al punto da non scandalizzare quasi più nessuno. Addirittura delizioso, se ad alzare il medio è Jennifer Lawrence alla notte degli Oscar, con quella faccina lì. Insomma, la storia contemporanea del dito medio è costellata, comunque, da grandi polemiche e, di conseguenza, da grandi successi mediatici.
Se volete approfondirla, potete leggervi The Finger: a comprehensive guide to flipping off (di cui potete anche scaricare 16 pagine in pdf, gratis) oppure 101 ways to flip the board).
Perché non c’è mica un solo modo, di farlo, il dito medio. Ce ne sono tanti: consci, inconsci, palesi, nascosti, allusivi, provocatori, di protesta, semplicemente insultanti.
Il dito medio di Varoufakis
Veniamo al dunque. Un dunque che è anche televisivo, come avrete intuito.
Il dito medio di Yanis Varoufakis. Se seguirete il link precedente, troverete per cominciare una serie di domande e risposte che tentano di spiegare tutto l’accaduto con ordine. Un ordine che possiamo tentare di riprodurre qui. Varoufakis è l’attuale ministro del governo Tsipras in Grecia.
Nel 2013, quando non ricopre ancora alcun incarico politico ed è semplicemente un professore di economia ed economista, viene invitato al Subversive Festival di Zagabria per presentare un suo saggio (“Il minotauro globale”). In quell’occasione, rispondendo a una domanda dal pubblico, Varoufakis dice che, secondo lui, la Grecia avrebbe dovuto, nel 2010, dichiarare defalut e fare il dito medio alla Germania e dire loro di risolversi da soli i loro problemi. Nel farlo, alza fisicamente il dito medio.
Esiste una registrazione integrale di questo evento. Il pezzo del video con questa affermazione viene mostrato in coda a un video parodistico (V for Varoufakis). Poi viene preso da un talk show tedesco cui Varoufakis viene invitato. In questa occasione, estrapolato, decontestualizzato, privato della dimensione ipotetica e temporale, il discorso di Varoufakis, introdotto e interrotto da una voice over, viene mostrato all’interno di un servizio che racconta il “personaggio”. Che, per ben note ragioni politiche, è inviso a una buona fetta di tedeschi, i fedelissimi di Angela Merkel,
Senza la premessa, senza la contestualizzazione, grazie all’audio che viene interrotto sapientemente, in sostanza, nel servizio si vede e si sente l’attuale ministro greco dire in inglese “La Grecia dovrebbe mostrare il dito medio alla Germania”.
Che, per semplificazione, diventa, prima in tv, poi su tutti i media del mondo qualcosa di simile a “Varoufakis fa il dito medio ai tedeschi”. Polemica, accuse, editoriali che lo dipingono come un vanitoso maniaco di se stesso, come una macchietta, come un volgare intrattenitore vanesio. Il tutto è frutto di un fraintendimento generato proprio dal talk tedesco.
Infatti il ministro sostiene che il video sia stato manipolato (“doctored”) e che sia dunque un falso. Di fatto lo è. Varoufakis recupera e poi pubblica su Twitter il video integrale dell’evento.
E qui si arriva al secondo fraintendimento: tutti si concentrano sul dito medio fisicamente mostrato. Tutti pensano che il falso sia quello fisico, visivo. “Non ho mai fatto il dito medio ai tedeschi” viene interpretato letteralmente. Solo che nel video integrale, il dito medio viene alzato eccome. E allora, ecco la seconda polemica: Varoufakis viene accusato di mentire. Ma non ha affatto mentito: bisogna ascoltare e comprendere le differenze semantiche di quel che sostiene lui e di quel che sostengono i suoi accusatori. Non basta guardare. Bisogna anche ascoltare e poi mettere insieme i due mesaper arrivare alla corretta interpretazione del video.
Ecco dove si inserta il lavoro brillante, geniale – credetemi, il termine non è speso a vanvera e non è un cliché – di un autore e comico tedesco, Jan Böhmermann.
Böhmermann cavalca magistralmente l’equivoco interpretativo, on un triplo salto carpiato che al sottoscritto ricorda una crasi fra l’Orson Welles che ingannò tre stati U.S.A. trasformando in radiodramma “La guerra dei mondi” del suo omonimo, le false teste di Modigliani e l’episodio pilota, magistrale, di Black Mirror. Böhmermann produce un video che reinventa e riscrive il senso della satira politica.
Il comico rivendica la manomissione del video di Varoufakis, nel suo senso più letterale.
Ovvero, racconta di aver falsificato l’immagine. Dice che il greco non ha mai fisicamente alzato il dito medio. Che è stato girato un falso utilizzando tecniche di effetti speciali (green screen) e che nell’originale Varoufakis dice, figurativamente, “stick the finger” ma non mostra il medio. Il tutto viene condito da immagini girate sul presunto set della falsificazione e dalla spiegazione di un tecnico di effetti speciali che racconta come sia stato insertato il braccio dell’attore sul braccio di Varoufakis, mostrandone anche una versione in cui il ministro alza l’indice.
Poi Böhmermann pubblica su Twitter questa sua ricostruzione e chiede scusa a Varoufakis.
Bum. Il cortocircuito.
I media, lentamente, pubblicano la notizia che il video è un falso e che Varoufakis non ha mai alzato il medio contro i tedeschi.
Tutto a posto, dunque? No. Perché la splendida ricostruzione di Böhmermann è falsa. È satira. Ed è satira della miglior specie, di quella geniale, genuina, fulminante. Una satira che colpisce forte in faccia tutto il mondo dei media, della televisione, dei giornali. Un colossale dito medio mostrato a tutto il sistema.
I media nostrani, per inciso, non ce la fanno a fotografare la questione e spiegarla fino in fondo (forse perché sarebbe troppo: dovrebbero spiegare anche la critica a loro stessi) e si accontentano della seconda versione: il video di Varoufakis è un falso. Potete verificare voi stessi su internet.
E quindi – anche se sui social il dibattito continua, a colpi di fraintendimento, e anche se noi abbiamo offerto una ricostruzione pressoché definitiva della questione –, i cosiddetti media mainstream, fermandosi alla seconda versione, arrivano a uno splendido paradosso: in definitiva offrono giustizia alla “verità”.
Il video di Varoufakis è un falso. È un falso perché Varoufakis stava esprimendo un concetto molto più ampio e complesso, non stava facendo un dito medio alla Germania.
Lo è per come è stato mostrato dalla tv tedesca e per come è stato raccontato dai media dopo, con la falsificazione non già il gesto ma del senso del medesimo: troppo complicato da spiegare, ci vuole un pezzo lunghissimo, tipo questo.
E il risultato è un paradosso nel quale la satira, con la sua tagliente ironia, riporta alla luce la verità, mentendo. Socrate ne sarebbe fiero.
Vero, verosimile, falso: la tv, i media, la memoria e le notizie
Perché è così importante un video con un dito medio? È un gesto secolare, come abbiamo visto. Eppure se lo fa qualcuno di importante diventa “virale”, dunque perfetto nell’economia di un’informazione che – per citare Datamediahub – cerca sistematicamente volume e non valore.
Quello di cui dovremmo parlare, oggi, infatti, è il contenuto politico ed economico della proposta di Varoufakis (una proposta che abbiamo ritenuto di tradurre in italiano, su Polisblog, ndr). Invece è più interessante polemizzare sulla sua volgarità. Cosa che distoglie completamente l’attenzione dal contenuto e lo sposta sulla forma. Una forma, nel caso specifico, decontestualizzata.
Böhmermann, che è proprio bravo, prende in giro i propri connazionali dicendo che i tedeschi son così: devastano due volte in un secolo l’intera Europa, poi si offendono se uno gli fa il dito medio.
E si dimenticano, per esempio, questa copertina di Focus del 2010, con la venere di Milo che, guardate un po’, offre il medio.
Questo episodio dovrebbe essere frutto di profonda riflessione per tentare di comprendere la deriva dell’informazione che cerca volume e basta. Ecco perché per noi diventa importante. Perché con il suo intervento satirico, Böhmermann, oltre a ridefinire i confini della satira politica – noi abbiamo Striscia la notizia che spoilera Masterchef e che si adira a colpi di comunicati stampa, gne-gne-gne e “lei non sa chi sono io” ogni volta che qualcuno si permette di criticare ledendo la loro maestà. I tedeschi hanno questo – rigira il dito nella piaga dell’informazione.
Che non approfondisce più, che manipola rispondendo alle esigenze editoriali, o alla creazione di consenso e si trasforma da informazione in “deformazione” o peggio in “consensificazione”. E che a volte, come nel caso specifico, deve arrendersi alla complessità, incapace di spiegarla. Anche perché, al lettore, non interessa quasi più.
Il confine fra il fatto e il falso è diventato la verosimiglianza. Se una storia è verosimile, può avere dignità di notizia. Anche se poi notizia non è e dovrebbe essere ridefinita con le condizioni al contorno, spiegata, ampliata, riveduta e corretta.
Il problema è che tutto questo finisce per ridisegnare la realtà.
Un esempio, recentissimo e su fatti ben più violenti, l’abbiamo avuto con l’attentato di Tunisi. All’estero, la correlazione fra l’ISIS e i fatti di Tunisi era cauta. In Italia è stata fatta fin dai primi istanti a colpi di titoloni. Su giornali e servizi televisivi. Titoloni che, finita la bufera, verranno dimenticati.
Scrive bene Francesco Erspamer:
«La tragedia è che la psiche umana sembra ancora incapace di relativizzare le notizie amplificate dai giornali e dai telegiornali. Goebbels diceva che una menzogna ripetuta mille volte diventa una verità; oggi è molto peggio, qualunque cosa, vera o falsa o incerta che sia, mostrata mille volte in televisione diventa ugualmente reale, ugualmente personale, e così non è solo una specifica verità a scomparire ma l’idea stessa di verità, di esperienza».
D’altro canto, i fatti di Tunisi sono già scomparsi dai servizi e dalle homepage. E dunque dimenticati, senza nemmeno il tempo di introiettarli e di elaborare il lutto o almeno l’evento.
E non finisce qui. Pensate al caso-Germanwings. Paris Match e Bild (non esattamente due fonti che in casi normali verrebbero citate da tutti) sostengono di aver ottenuto (o potuto vedere), ma di non possedere (e di aver deciso di non diffondere: insomma, tanta confusione), un video degli ultimi istanti del volo precipitato, ripreso dall’interno, da un telefonino di un passeggero.
Le autorità francesi ne negano l’esistenza o, in alternativa, ne ingiungono la consegna. In Italia nessuno lo ha visto, quel video. Eppure, tutti i quotidiani online lo annunciavano in pompa magna. E l’Huffington Post Italia si superava e superava tutti (lanciato, come di consueto, dalla home di Repubblica.it – apprendo che si tratti di una “locandina elettronica”, non curata da Repubblica ma direttamente dall’Huff), aprendo direttamente l’edizione del momento così.
La media dei click
Il video non c’era, ovviamente. E ad oggi nessuno lo ha pubblicato. Ma intanto un bel po’ di click saranno stati fatti.
Già, perché uno dei motivi per cui la verosimiglianza è diventata sufficiente per pubblicare una notizia anche su un’importante testata giornalistica è che bisogna fare click, fare traffico (provate ad aprire, per dire, le pagine di Nytimes e Guardian, e poi ne riparliamo).
Secondo voi, in media, farà più traffico – e dunque sarà più monetizzabile – un pezzo come questo, un approfondimento politico sulle elezioni imminenti nel Regno Unito, le più incerte di sempre oppure il pezzo “Mio Dio in tutte le lingue, il video” (anche se il video non c’è)? La risposta, ahinoi, è scontata.
Quanto al video, adesso poi è arrivato Periscope su Twitter, una app per gli streaming live: è tutto live, la selezione dal frigorifero, il vip che fa colazione, la signorina che si manda in onda mentre guida per andare al lavoro – appena vista – i ragazzini a scuola.
Siamo un passo prima di Black Mirror: White Christmas Quanto tempo ci vorrà, prima del primo atto di violenza (vero o falso che sia, poco importa)? Quanto prima della prima esecuzione dell’Isis live? Quanto, prima che qualcuno cavalchi il fenomeno? Quanto prima che ci si ricamino sopra teorie complottiste?
E in tutto questo, come si colloca l’informazione? Che posizione prende, cosa sceglie di fare? È giornalismo, non saper spiegare tutta la storia del dito medio di Varoufakis? Lo è parlare di un video senza averlo visto? Lo è mostrate tutto indiscriminatamente senza filtro e senza scegliere cosa raccontare, come farlo?
Un dito medio per scegliere
Parliamoci chiaro: Periscope non ucciderà il giornalismo, non lo farà nemmeno lui.
Il fatto è che il giornalismo si uccide ogni giorno un po’ con le pratiche che abbiamo visto fin qui, da solo, condannandosi a una lenta agonia che però non lo farà mai estinguere del tutto. Una sofferenza infinita. Del resto, niente è veramente morto, nel mondo della comunicazione.
Ma bisogna saper reagire. Reagire, nel mondo dell’informazione online e televisiva oggi, vuol dire scegliere.
E dunque, io faccio come Varoufakis e dico: il lettore, l’utente, il telespettatore, il giornalista, l’editore, chiunque voglia essere intellettualmente onesto, qualunque sia il ruolo che ricopre nella catena della produzione-fruizione informativa, dovrebbe alzare il dito medio verso i media di oggi.
E ricominciare a scegliere.