Home Servizio Pubblico – Se togli l’antagonista all’eroe, svanisce la tensione narrativa. Successo al botteghino ma occasione sprecata

Servizio Pubblico – Se togli l’antagonista all’eroe, svanisce la tensione narrativa. Successo al botteghino ma occasione sprecata

La prima di Servizio Pubblico? Contenutisticamente, un’occasione sprecata.

pubblicato 4 Novembre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 02:14


Come funziona una grande storia? Ci vuole un eroe con cui identificarsi. Ma questo eroe deve avere un conflitto. Dev’essere vessato, deve subire delle angherie, deve avere un nemico: l’antagonista. E’ l’abc di tutte le grandi storie, di tutte le grandi narrazioni. Silvio Berlusconi, per esempio, è riuscito a narrare se stesso ad una parte degli italiani come l’eroe che si batte contro i giornali comunisti, i magistrati comunisti, le televisioni comuniste: ha funzionato per un sacco di tempo, al punto che il premier ha fatto il salto dello squalo ed ha finito per crederci lui stesso.

Michele Santoro non aveva bisogno di raccontare il suo antagonista: esisteva, era lì, sotto gli occhi di tutti, e ogni volta assumeva forme diverse e si materializzava nella realtà fenomenica sotto forma di dichiarazioni o personaggi. L’editto bulgaro, per esempio. O Mauro Masi. E così, puntata dopo puntata, lotta dopo lotta, Michele Santoro – anche se a lui non piace – si era trasformato nell’eroe martire che, contro tutto e tutti, sconfigge i propri aguzzini e riesce ad andare in onda lo stesso. E tu, spettatore, stai lì a guardare perché ti chiedi cosa dirà, perché aspetti Travaglio e le reazioni, perché vuoi sapere come lo attaccheranno il giorno dopo. E’ un meccanismo morboso, che funziona e però fa degenerare la qualità del giornalismo.

Adesso questa componente non c’è più. Michele è libero di dire quello che vuole. Si è creato il suo cantuccio, e fra poche ore, verosimilmente, potrà festeggiare il successo del programma: una pagina di storia della televisione e della comunicazione in Italia, senza ombra di dubbio. Ma la frase che dovrebbe esserci scritta, su questa pagina, è: «occasione sprecata».

Servizio pubblico sceglie il tema di pancia. Ma c’è il G20 a Cannes mentre, per l’ennesima volta, Stella e Rizzo blaterano contro la casta – ricordassero, una volta, che le missioni all’estero costano 4 milioni di euro al giorno, per dire. No, quello no. Perché le auto blu colpiscono più al ventre molle di tutti, a destra e a sinistra, le missioni all’estero magari non suscitano indignazione -; c’è una crisi del debito pubblico da spiegare, un capitalismo agonizzante da raccontare, mentre Marco Travaglio fa il suo monologo eterno (15 minuti) che è, in pratica, una specie di lettura di fila di una settimana di editoriali ironico-informati. E poi, che gusto c’è, a sentirlo fare le battutine sull’Air Force Nano (battuta debole, peraltro), se non puoi vedere i piani d’ascolto di Belpietro e La Russa (anche qui: se togli l’avversario pure al comprimario, dove andiamo a finire? La narrazione ha le sue regole, santo cielo) che si indignano e si dimenano e sono costretti a controllarsi o magari a fingere un sorriso o meglio ancora a trattenersi dal ridere?

Nella sua parte di talk (debordante), Servizio pubblico è un Annozero depotenziato: senza il contraddittorio obbligatorio, finisce tutto a tarallucci e vino. Persino Vanessa, la “gggiovane” che dall’impalcatura prova a sferrar colpi dialettici a Della Valle sul palco, in questa prossemica forzata dalla scenografia che crea distanza e diseguaglianza, non ha la forza di proseguire la diatriba e, alla fine, diventa per tutti la giovane che parla col cuore e che deve lasciar fare a chi sta al piano di sotto, che ha il cervello. Il momento-Lavitola è semplicemente tremendo. Se già il faccendiere aveva dimostrato di essere sgusciante come un’anguilla messo sotto torchio da Mentana, Travaglio, Formigli e compagnia su La7, qui, senza domande mirate, ha buon gioco. Gli chiedono del giro di soldi fra lui, Berlusconi e Tarantini e lui ha già lo schemino pronto. Guarda caso.

Poi viene liquidato come se fosse una simpatica canaglia. D’altro canto, la “seconda domanda” (quella che fa il buon giornalista) non può esserci, se la prima è fuori bersaglio. Le domande a Dalla Valle e De Magistris in studio sono all’acqua di rose (a parte un tentativo, francamente poco riuscito, di Luisella Costamagna, fino a quel momento in forma discreta, di attribuire al sindaco di Napoli comportamenti da “casta”). Le ricostruzioni filmate delle intercettazioni – uno sfizio, una soddisfazione da togliersi: finalmente le possiamo fare – non aggiungono nulla, anche se gli RVM, globalmente, erano la parte più interessante del tutto. Ma ci troviamo in un raro caso in cui il tutto è minore della somma delle parti: l’ottimo RVM di Luca Bertazzoni, che poteva essere spunto per un discorso complesso, si perde in una specie di indignazione sfilacciata alla “signoramianonmeneparli”.

Semplicemente ridicoli i sondaggi “binari” su Facebook: le risposte sono scontate, a riprova che il rischio di parlarsi addosso è concreto. Ma soprattutto, non è così che si stimola l’interattività né che si racconta la realtà. La realtà è più complessa di questa retorica del bianco o nero, on/off, buoni e cattivi. E’ più complessa anche del qualunquismo che serpeggia di tanto in tanto in studio. E così la prima prima di Servizio Pubblico si compiace di sé, tanto quanto Giulia Innocenzi si compiace del numero dei votanti alle domandine su Facebok. E risulta tanto sconnessa dalla realtà quanto quella casta che vorrebbe licenziare.

Sarà anche stata una rivoluzione produttiva, questo sì. Ma la forma senza contenuto non ha sostanza. E questo Santoro “troppo” libero non ha fatto il giornalismo che saprebbe fare, ritrovandosi a guardare il suo ombelico, a pensare «quanti siamo bravi e diversi, quanto siamo meglio» – ma tra il dire «noi facciamo la rivoluzione» e il fare la rivoluzione ce ne corre – a parlar di casta e bunga bunga, a rincorrere Mentana con Lavitola, a troncar discorsi per la scaletta da seguire. Santoro sembra diventato come i cortei: sono l’unica forma di protesta conosciuta e praticata da migliaia di persone, ma non servono più a nulla. La sensazione, se questo sarà il contenuto di Servizio Pubblico, è che questa forma di giornalismo salottiero, quando sarà finito Berlusconi, non avrà più nulla da dire.

Prodotti come Report e Presadiretta, fortunatamente, sì.

Michele Santoro