Bruno Vespa condannato per diffamazione. La Cassazione: “Porta a Porta deve smentire ipotesi prive di riscontri”
Torniamo a parlare di Bruno Vespa e Porta a Porta. Ieri l’approfondimento sulla presunta violazione del Codice di autoregolamentazione emanato lo scorso maggio dall’Agcom in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni televisive. E’ giusto monitorare la situazione perché qualcosa si sta muovendo: il conduttore di Porta a Porta, infatti, è stato condannato a
Torniamo a parlare di Bruno Vespa e Porta a Porta. Ieri l’approfondimento sulla presunta violazione del Codice di autoregolamentazione emanato lo scorso maggio dall’Agcom in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni televisive. E’ giusto monitorare la situazione perché qualcosa si sta muovendo: il conduttore di Porta a Porta, infatti, è stato condannato a una multa di mille euro e risarcimento dei danni ai familiari della contessa Alberica Filo Della Torre in merito alla puntata del suo programma dedicato all’omicidio della stessa avvenuto all’Olgiata: stiamo parlando della puntata andata in onda il 13 febbraio del 2002. E’ stato respinto il ricorso dopo che il marito della vittima aveva ritenuto lesivo tale servizio. I motivi sono esattamente quelli di cui disquisivamo ieri: si legge nella sentenza della Cassazione che la colpevolezza è stata attribuita al conduttore “per non avere impedito che nel corso della trasmissione andasse in onda un servizio (per il quale è stata condannata anche l’autrice – ndr) in cui la morte della nobildonna era stata gratuitamente accostata ad una serie di ipotesi oggettivamente diffamatorie, in un contesto oscuro e inquietante di servizi segreti con conseguenziale pregiudizio per l’onore e la reputazione dei familiari”.
Continua la V Sezione penale della Cassazione che, nella sentenza 45051, ha colto l’occasione per invitare ad un “maggior rigore” da parte dei talk show che rivisitano processi in tv. I giudici criticano quel “singolare fenomeno mediatico che tende a offrire una realtà immaginifica o virtuale, capace, non di meno, per forza di persuasione, di sovrapporsi, ove acriticamente recepita dagli utenti, a quella sostanziale o, quanto meno, a collocarsi in un ambito in cui i confini tra immaginario e reale diventano sempre più labili e non facilmente distinguibili. Secondo un fatto di costume oggi invalso e comunemente accettato è consentito pure rivisitare nei talk show televisivi gravi fatti delittuosi oggetto di indagini e persino di processo, nella ricerca di una verità mediatica in parallelo a quella sostanziale o a quella processuale”.
Esattamente quanto accaduto anche lunedì sera nell’ambito della puntata dedicata alla morte di Brenda, il transessuale coinvolto, suo malgrado, nella vicenda di sesso e droga legata all’ex presidente della Regione Lazio Marrazzo. Tutto, per l’appunto, in virtù di esigenze esclusivamente d’ascolto. Anche questo l’avevamo desunto nell’approfondimento di ieri: tali iniziative, sostiene sempre la Cassazione, “riscuotono a quanto pare apprezzabili indici di gradimento nell’utenza, ma sembrano inserirsi in un singolare fenomeno mediatico che tende a offrire una realtà virtuale”. Dicono allora i giudici: “Non è consentito neppure in chiave retrospettiva riferire di ipotesi investigative o di meri sospetti degli inquirenti (veri o presunti che siano) senza precisare, al tempo stesso, che quelle ipotesi o sospetti sono rimasti privi di riscontro”.
Aspettiamo l’apertura di un’istruttoria dell’Agcom anche per la puntata di lunedì.
La televisione, torniamo a dire, ha una grande responsabilità educativa e informativa che non dovrebbe mai essere tradita, soprattutto in caso di inchieste giudiziarie in corso.