Generation Kill: gli autori di The Wire raccontano la guerra in Iraq, da stasera su Steel
La figura del cosiddetto “embedded journalist”, ovvero del giornalista arruolato, esiste dalla guerra del Golfo del 1991. Consiste nel permettere ad un giornalista di vivere fianco a fianco dei soldati, senza privilegi ma rispettando le loro regole, e di raccontare così, da “privilegiato”, gli sviluppi di un conflitto.Ed è proprio questo il punto di vista
La figura del cosiddetto “embedded journalist”, ovvero del giornalista arruolato, esiste dalla guerra del Golfo del 1991. Consiste nel permettere ad un giornalista di vivere fianco a fianco dei soldati, senza privilegi ma rispettando le loro regole, e di raccontare così, da “privilegiato”, gli sviluppi di un conflitto.
Ed è proprio questo il punto di vista che viene raccontato nella miniserie in sette puntate dal titolo “Generation Kill”, che Steel manda in onda da stasera alle 21 (da domenica prossima verranno trasmessi due episodi a settimana). Prodotta da Hbo nel 2008, la serie vanta due autori prestigiosi: Ed Burns e David Simon, autori -il secondo anche creatore- di “The Wire”.
La trama che ci sarà presentata non è frutto di fantasia, ma è la vera storia di Evan Wright (nella serie è interpretato da Lee Tergesen, Toby in “Oz”), giornalista di “Rolling Stone” che ha seguito il primo battaglione esploratori dei Marines -il più pericoloso- durante la guerra irachena del 2003. Da quella esperienza è nato il libro “Generation Kill”, che la critica ha definito “una prospettiva unica, mai vista prima dal pubblico americano, sulla guerra in Iraq e le truppe che vi combatterono”. Inevitabile, quindi, che anche Wright collaborasse alla sceneggiatura della serie tv, a cui hanno partecipato anche due marines, diventati poi personaggi del telefilm.
Parliamo del Sergente Eric Kocher e il Capitano Jeffrey Carisalez, il cui lavoro ha arricchito la veridicità della serie, fornendo dettagli non banali sulla vita quotidiana dei soldati in guerra. A dare maggiore risalto alle loro storie, è intervenuto anche il Sergente Rudy Reyes, che non solo appare negli episodi nel ruolo di sè stesso, ma ha anche svolto un lavoro di ricostruzione storica degli eventi. Un’opera non facile, come ha detto lo stesso Reyes:
“Un’esperienza durissima ma in qualche modo catartica, andare indietro nel tempo e rivedere civili uccisi, bambini feriti, rivivendo uno dei periodi più vividi, pericolosi ed estremi della mia vita”.
“Generation Kill” si distingue dalle altre serie -e non solo quelle militari- proprio per la stretta vicinanza con la realtà e con chi questa realtà l’ha toccata con mano. Un affresco vivido, a tratti crudo ma molto realistico (tanto “da dimenticare che è fiction”, ha scritto “Variety”) che ci porta dentro una delle guerra più discusse degli ultimi anni.
Per realizzare tutto ciò, la cura ai dettagli è stata maniacale ma efficace: scegliere di non utilizzare una colonna sonora, ad esempio, rispecchia il divieto fatto ai soldati di ascoltare musica sul fronte, a cui i Marines cercano di rimediare con le proprie voci. Saranno queste l’unica vera parte sonora che sentiremo nel corso delle puntate.
Chi entra nel mondo di “Generation Kill” deve sapere che non va incontro a una serie facile, ma deve prepararsi a scene forti, molto più vicine ad un documentario che ad un telefilm. E proprio per questo, la sensazione che si ha una volta finita la serie, è quella di essere più consapevoli delle atrocità della guerra.